CONTRIBUTI
Per Tadeusz Różewicz
di Massimo Rizzante
Una delle tante scoperte dei miei anni a Parigi (gli anni Novanta, gli anni della fine del comunismo, gli anni della guerra dell'Europa all'Europa) è stata l'opera di Tadeusz Różewicz. Nato nel 1921 a Radomsko, un villaggio di ventimila anime sulla linea ferroviaria Varsavia-Vienna, questo poeta polacco, appartato e distante dalla società letteraria della capitale, è un grande testimone della seconda metà del XX secolo. La cosa più importante che mi sento di dire su Rózewicz è che egli, rispetto a Celan (un poeta che in Italia, a differenza di Różewicz, è continuamente nei pensieri e nelle aspirazioni di molti poeti, critici e traduttori) rappresenta l'altra possibilità del fare poesia dopo Auschwitz, la possibilità per così dire non metaforica, non metafisica, ma realistica, ordinaria. A questa volontà di riportare la lingua poetica a un ricominciamento conoscitivo privo di remore nei confronti di ogni altro registro linguistico, egli è rimasto coerentemente fedele per tutta la vita.
Trascrivo qui, quali indicazioni di rotta ai naviganti, alcuni versi tratti da quattro poesie che appartengono rispettivamente agli anni quaranta (Superstite), agli anni sessanta (Correzione di bozze), agli anni ottanta (Una poesia) e agli anni duemila (Perché scrivo?).
Nel 2007, è uscita in Italia, grazie all'impegno e alla cura di Silvano De Fanti, un'antologia della sua vasta produzione, dal titolo Le parole sgomente. Poesie 1947–2004 (Metauro).